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“Il lavoro di squadra, elemento chiave per il successo o il fallimento”.

Collaborazione azienda

I responsabili di reparto, di commessa, di progetto, di cantiere etc…hanno il compito di infondere una buona atmosfera all’interno della propria squadra per migliorare la qualità del lavoro, limitare l’assenteismo e meglio sopportare i periodi di stress.
Si può metaforicamente paragonare la conduzione di una squadra alla guida di una auto. Se tutto funziona al meglio l’auto ci porta a destinazione, nel tempo giusto e in sicurezza!
Il concorso di tutte le parti, il mettere in comune le rispettive competenze per raggiungere lo stesso obiettivo, permettono di esprimere tutta la forza della squadra. Quando ciascuno fa bene il proprio compito, nei tempi giusti ed in sicurezza, si riducono gli attriti, le dispersioni di energia, si raggiunge la meta.

“Senza lavoro di squadra, non si riesce a gestire progetti, commesse, reparti”!

Un responsabile, oltre alla conoscenza del lavoro che svolge, deve possedere la  capacità di controllare e dare indicazioni, indirizzare. Ma per  favorire davvero il “buon funzionamento del team”, la corretta progressione e la ottimale realizzazione del progetto, deve contribuire alla creazione di un “clima collaborativo”, quello che sinteticamente si definisce “lavoro di squadra”.
I molti casi reali osservati, mi consentono di affermare infatti che per gestire un team, oltre alle competenze specifiche della attività che si svolge, è fondamentale acquisire o implementare, le competenze atte a “guidare” le persone coinvolte nel team, gruppo o squadra.

In linea generale si può affermare che un responsabile ha il compito di:

• assegnare ruoli
• fissare obiettivi
• fissare scadenze
• anticipare i problemi
• gestire gli imprevisti
• informare
• ascoltare
• coinvolgere
• dissipare le tensioni
• motivare

Un responsabile di progetto, di commessa, di reparto, d’officina, ha come obiettivo il fare in modo che la squadra a lui affidata abbia successo, in questo ruolo deve acquisire e implementare competenze  per:

•  Comunicare e promuovere la comunicazione
• Organizzare
• Fidarsi e delegare promuovendo le capacità dei suoi collaboratori
• Riconoscere fallimento e successo.

Comunicazione

Team work creativo
“Prima di tutto “Il sorriso” che è comunicativo, saper mettere buon umore e sorridere è un ottima partenza”!

Elemento essenziale per costruire la squadra è “promuovere una buona comunicazione

È essenziale incoraggiare i membri del team a condividere idee, comunicare meglio tra loro e lavorare in modo collaborativo. Favorire gli scambi rende la squadra più produttiva, sviluppa la sua capacità di innovare e può far risparmiare tempo prezioso.
Una buona comunicazione aiuta a sviluppare la fiducia tra i membri del team e un senso di lealtà. Tutto ciò offre un ambiente di lavoro piacevole e incoraggia l’impegno di tutti nei confronti del progetto, innescando un circolo virtuoso.

Per determinare questo occorre conoscere e combinare diversi metodi di comunicazione, stimolare anche i collaboratori a migliorarsi. Tenendo presente che la comunicazione nasce dall’ascolto. Ascoltare dunque i collaboratori per stimolare la loro capacità di “ascoltarsi reciprocamente”, è la base per la comunicazione efficace.
Lavorare in un ambiente favorevole alla comunicazione, un semplice esempio, se non si è già in uno spazio aperto, può essere quello di lasciare aperta la porta del proprio ufficio, per  incoraggiare i collaboratori a venire a trovarti in qualsiasi momento per discutere i progressi del progetto, chiedere aiuto o consigli.
La comunicazione tra i membri di un team determina buone relazioni, le buone relazioni migliorano la comunicazione rendendola efficace, questo circolo virtuoso è essenziale al lavorare insieme con efficienza ed efficacia.

Organizzazione

Circo

“I due fattori più importanti per il successo di un’organizzazione, sono l’atteggiamento dei suoi uomini e la loro capacità di adattarsi”!

Incontrare i collaboratori ciclicamente e nelle situazioni necessarie al miglioramento organizzativo. Incontri brevi,  con un obiettivo specifico in modo da renderli produttivi.
Ciclicamente, incontri anche più lunghi, ma tenuti entro il tempo stabilito per la riunione, per valutare lo stato delle cose, gli elementi positivi e negativi, stabilire l’impegno delle persone, i compiti da svolgere nel prosieguo.

L’importante in questo tipo di incontri diventa scambiare idee, osservazioni, stimolare i miglioramenti da fare in attività specifiche, complimentarsi col gruppo o con il singolo, su precise azioni positive, sub-obiettivi raggiunti.
Questi incontri operativi,  sono da considerarsi anche azioni di team building, perché permettono a tutti di esprimersi, essere ascoltati, scambiare pensieri, confrontarsi, condividere.
Un responsabile di progetto, un responsabile di team, deve creare anche opportunità per riunire la squadra in un’atmosfera amichevole e informale. La socialità consente ai membri del team di rilassarsi insieme, lontano dall’ambiente di lavoro, dalle loro responsabilità, dalle restrizioni e dalle barriere gerarchiche.
Specie all’inizio di un progetto, quando si forma un team di lavoro, quando si inseriscono, nel team persone nuove, è costruttivo organizzare attività per rompere il ghiaccio e trascorrere del tempo insieme, aiuta a creare un forte senso di appartenenza.
Andare a pranzo insieme quando possibile, oppure ogni tanto bere qualcosa assieme dopo il lavoro, o praticare uno sport di squadra (calcio, basket, …) tutti insieme, concorre a creare e rafforzare lo spirito di squadra, dando a tutti l’opportunità di conoscersi meglio.

Fiducia

Aiutarsi team
“Fiducia, rispetto e riconoscimento sono valori forti che motivano la squadra in modo efficace”.

Par far si che le attività di riunione ed incontro siano vissute come costruttive e gratificanti, occorre incoraggiare le iniziative, permettere ai membri della squadra, quando necessario, di richiederle ed organizzarle, sia riunioni di lavoro che ludiche.
Questo premette che il responsabile sappia fidarsi dei suoi collaboratori, che creda in loro.

Imporre la propria autorità non funziona in generale e soprattutto con le nuove generazioni. Per avere la piena disponibilità ed il meglio dei propri collaboratori, per coinvolgerli realmente, occorre aver fiducia in loro.
Creare un clima di fiducia reciproca all’interno della squadra, significa sapersi affidare alle capacità, ai talenti e al potenziale di ciascuno dei collaboratori. Significa mostrare che si crede in loro! Solo in questo modo essi si sentiranno “responsabilizzati” e pronti a lavorare con grande impegno per raggiungere gli obiettivi.
Certamente questo stando attenti a non delegare tutto, dando l’impressione di non essere coinvolti, mostrando ai propri collaboratori che si è lì per loro e che possono contare sul proprio “capo”, che deve comunque monitorare e convalidare il raggiungimento degli obiettivi di ciascuno, all’interno di quelli finali di progetto. In fondo la fiducia deve essere reciproca.

Riconoscimento
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“Credo che le persone lavorino per essere soddisfatte e che sia un grande errore pensare che l’unico modo per ricompensarle per il loro lavoro siano i soldi. Le persone hanno bisogno del denaro, ma vogliono anche essere felici nel loro posto di lavoro e orgogliose di ciò che fanno”. (Akio Morita – fisico e imprenditore giapponese)

Nella guida della squadra sono importanti il “riconoscimento e la gratificazione”.
Dai piccoli gesti generali a quelli specifici, dalla gratificazione della squadra a quella individuale. La difesa dell’operato del team o del singolo, quando in linea con quanto concordato, l’assunzione delle proprie responsabilità di leader quando si incontrano difficoltà, soprattutto non previste, che danno adito ad errori, sono azioni  la che rafforzano la fiducia.

Un suggerimento è quello di festeggiare le vittorie! Festeggiare il successo di un progetto o il successo di un obiettivo difficile. rafforza la squadra e l’impegno”.

Esperienze in realtà diverse  mi hanno fatto comprendere che poche persone mirano solamente a timbrare il cartellino, a “tirare” le otto ore e aspettare lo stipendio alla fine del mese.

La maggior parte delle persone desiderano essere tenute nella giusta considerazione, hanno il  desiderio di far bene il proprio compito per sentirsi soddisfatte.

Un buon responsabile deve guidare e controllare che i compiti dati siano eseguiti a regola d’arte, ma avere ben chiaro che per le persone l’essere stimato dagli altri, oltre che da se stesso,  concorre a soddisfare il  bisogno di appartenenza e realizzazione.
Il riconoscere ai collaboratori il lavoro fatto, i rischi che hanno preso e i risultati che hanno ottenuto crea un ambiente di lavoro positivo, motivato e produttivo. (Luigi D’Arienzo)

Siamo perchè ci relazioniamo

“Siamo perché ci relazioniamo”, difatti un tessuto denso di relazioni umane contribuisce allo sviluppo della persona in tutti gli ambiti.

In azienda, come in qualsiasi organizzazione anche sportiva, società di servizi etc…, l’ottimizzazione delle relazioni umane favorisce l’interdipendenza di tutte le funzioni svolte permettendo di raggiungere gli obiettivi previsti nelle migliori condizioni possibili.
Dunque la sintonia tra relazioni umane e interdipendenza, è uno degli elementi essenziali allo sviluppo delle organizzazioni, ne garantiscono il successo e la durata nel tempo, indipendentemente dalle sue dimensioni e dalla natura della sua attività.

Il dipendente, il collaboratore, il manager, il dirigente, lo stesso imprenditore quando è operativo, hanno bisogno di sentirsi parte di un gruppo. Di conseguenza, ciascuno col proprio bagaglio culturale (valori, regole, credenze, atteggiamenti etc…) si pone l’intento di avere con gli altri “buoni rapporti” sviluppando spesso anche un attaccamento emotivo.

I rapporti umani in azienda sono funzionali e strategici, servono sia all’azienda che a coloro che vi lavorano. In questa ottica, le aspettative di chi opera e dell’azienda, possono essere soddisfatte se “in sintonia”, se gli obiettivi ed i risultati concreti che reciprocamente ci si aspetta risultano efficaci .

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Osservo continuamente, lavorando nelle piccole e medie imprese, che le competenze tecniche, scientifiche o amministrative, seppur importanti, non bastano, per trovare un posto all’interno dell’azienda. Si comprende bene che oltre alla dimensione professionale, le persone cercano la dimensione personale, per cui diventa necessario che imprenditori e manager, si impegnino in modo costante e continuativo, non episodico, ad accrescere il “funzionamento culturale” dell’azienda.
E’ palese che la globalizzazione e l’espansione della migrazione in tutto il mondo, stimoli approcci estesi alle diverse culture di dipendenti. Questo cambiamento epocale, diventa gestibile e possibile, nelle aziende che abbiano già acquisito e sviluppato precedentemente la “cultura delle relazioni”, favorendo la comunicazione, l’appartenenza e la soddisfazione, in chi lavora e trae da questo motivo per accrescere la propria motivazione.

Le relazioni contribuiscono fortemente all’ interfacciamento delle funzioni ed alla fluidità dei processi, anche garantendo solidarietà, assistenza reciproca e di conseguenza lo sviluppo di cultura del problem solving e minore necessità di interventi correttivi da parte di chi gestisce processi e persone.

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La cura e lo sviluppo delle relazioni umane in azienda, permette di poterla definire anche una “ricchezza culturale”, per la società in generale, perché favorisce la possibilità di espressione di identità e culture, degli “attori sociali”, delle persone che vi lavorano.

Questi desiderando collaborare e migliorare, si emancipano, sentendosi sicuri e riconosciuti, contribuendo così al miglioramento di tutto il tessuto sociale nel quale vivono.
“Riconoscere l’altro” la parola d’ordine necessaria in qualsiasi organizzazione intesa come strumento per raggiungere obiettivi. Nelle aziende, società di servizi, sportive, il riconoscimento dell’altro è un volano di cooperazione, di sviluppo effettivo contribuendo al rafforzamento delle relazioni umane, al consolidamento dell’interdipendenza delle funzioni, garantisce sostenibilità e prontezza nelle risposte ai cambiamenti tecnologici, alle esigenze dei mercati, culturali e sociali.

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Il mio punto di vista nasce da esperienze dirette di lavoro che mi hanno permesso di osservare nelle organizzazioni la carenza di persone che abbiano “fiducia in se stessi”, nei loro colleghi, nella stessa organizzazione di cui fanno parte. Persone in grado di organizzare il lavoro “insieme”, comunicare meglio, supervisionare i propri collaboratori al fine di creare un vero rapporto di fiducia e prendere decisioni responsabili.

Per questo penso che bisogna in modo professionale e concreto, operare al fine di valorizzare, diffondere, implementare, le capacità di comunicazione, di cooperazione, le interrelazioni funzionali, per determinare nelle organizzazioni, un equilibrio, il più possibile armonico.

Necessita un “equilibrio armonico” tra l’azienda e il suo ambiente interno ed esterno

Questo equilibrio favorisce ampiamente le buone prestazioni di tutti i servizi e le unità di produzione, contribuisce alla crescita e alla prosperità dell’organizzazione, promuove una atmosfera anche “attraente” per le risorse e la comunità e può essere un terreno fertile per permettere la crescita dei giovani, immergendoli nella cultura del “bene comune”, di relazioni positive tra le risorse umane, interrelazione costruttive tra, gruppi, team e funzioni.

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Ottenere questo risultato, richiede impegno e dedizione, un lavoro continuo di miglioramento, un approccio “Kaizen” alle risorse umane, in cui il ruolo della leadership, assume fondamentale importanza, specie se l’essere leader diventa una cultura diffusa nella organizzazione, non centrata su una o poche figure, ma condivisa da chiunque abbia responsabilità di guida e gestione di altre persone.
In questo modo la presenza, l’ascolto, l’esempio, diventano capillari, concorrendo a mantenere le relazioni amichevoli e costruttive, prevenire e gestire le situazioni di conflitto che spesso determinano, cattivo funzionamento, squilibri e diseconomie.

Innegabilmente gli uomini, ancor prima che il capitale o le materie prime, alimentano la crescita dell’azienda.

Formiche team

Si sente spesso dire che il successo di ogni organizzazione, sia legato alla qualità delle risorse umane che la compongono, ma l’esperienza nelle piccole e medie imprese, mi ha convinto che al di là delle parole c’è poco di “sostanza” in questo e credo ci sia bisogno di un “cambio culturale vero”.
Occorre rendersi conto che mantenere in “equilibrio” una macchina, richiede meno impegno che mantenere in equilibrio le relazioni umane. La macchina si ripara e non ha memoria del suo guasto, un maltrattamento, la disattenzione, il non ascolto, un conflitto, lasciano comunque traccia, hanno costi importanti e talvolta non sono facilmente recuperabili.

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Le organizzazioni che si illudono, senza mettersi in discussione, di risolvere la carenza di relazioni efficaci, semplicemente attraverso momenti di team building, corsi, seminari , incontri con specialisti, commettono a mio avviso un errore grande, disperdendo energie e contribuendo al mantenimento di uno status quo, inefficiente.

Perseguire costantemente l’efficienza delle risorse umane in una organizzazione, significa applicare i principi kaizen dei piccoli e quotidiani “miglioramenti”, anche con le persone, dal direttore generale o amministratore delegato al piccolo imprenditore, dal capocantiere al manager, dall’operaio al caporeparto, dall’allenatore all’atleta.

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Business people running over the safe bridge from the falling canyons. Opportunity and taking a risk concept illustration.

La cattiva gestione di un cambiamento aziendale può portare ad una regressione delle relazioni, alla perdita dell’idea di appartenenza ad una squadra, crisi dei valori condivisi, insicurezza, in buona sostanza ad un “vuoto di identità”, alti livelli di malessere e in taluni casi disaffezione al lavoro.

Quando si mette in atto qualsiasi cambiamento, in particolare quando si operano grandi cambiamenti come una fusione tra aziende, una acquisizione, occorre partire realmente dalle “persone”, anche quando questo prevede la gestione di esuberi, la soppressione di mansioni, trasferimenti di personale in altre sedi etc…

“La condivisione della mission, di una vision forte e di un sistema di valori indicano la direzione e accomunano nelle linee di comportamento…

I Programmi non sono accettati solo perché il management li ha stabiliti, ma bisogna generare e mantenere una importante energia che promuova la condivisione e il consenso. La leadership deve garantire una piena attività di guida e di coordinamento delle risorse per il raggiungimento degli obiettivi organizzativi, attraverso l’adesione e lo spontaneo rispetto di direttive al di là della preoccupazione di premi e punizioni. Il vero leader si caratterizza per la capacità di determinare un consenso volontario, un’accettazione soggettiva e motivata nelle persone, rispetto agli obiettivi del gruppo o dell’organizzazione”.((A. Goi , Leadership e Management, 7.8.)

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Purtroppo invece quando queste competenze che fanno parte della cultura manageriale mancano in chi deve gestire una organizzazione, si producono effetti negativi sul clima aziendale, a tutto danno della produttività e delle performance. In modo particolare quando si mettono atto cambiamenti epocali, la carenza di competenze e strategie, porta il management ad occuparsi più delle variabili economiche, amministrative, strutturali, dei sistemi informativi e logistici, poi della riorganizzazione di ruoli e mansioni calando spesso dall’alto le soluzioni, senza coinvolgere, ascoltare, motivare, le persone vero motore dell’azienda.

Quando per motivi strategici o di sopravvivenza occorre operare degli accorpamenti, acquisizioni, riorganizzazioni, etc…diventa improduttivo imporre il cambiamento a chi deve attuarlo, creando la situazione paradossale che non conoscendolo, non lo condivide talvolta lo teme, vivendolo come evento altamente stressante.

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I cambiamenti già difficili da gestire, se vissuti in modo negativo, esasperano alcune problematiche ad essi connesse, come la perdita di sicurezza, della missione e della visione futura. Si disperdono o cambiano i gruppi di lavoro, mutano le relazioni interpersonali, che non hanno l’opportunità di approfondirsi.
Si disperde la “cultura condivisa”, fatta anche di abitudini e consuetudini, che funge da “sostegno”, permettendo alle persone di capirsi l’un l’altro, creare sinergie, superare difficoltà, diatribe, scontri quotidiani legati alle dinamiche lavorative.

(Invito ad ascoltare questo breve intervento video di Corrado Passera a proposito di leadership e cambiamento —->

Negli incontri ufficiali di informazione dei cambiamenti in atto, i manager preposti, talvolta con convinzione e buonafede, utilizzano metafore per stimolare le persone a “fare squadra”, tese ad esorcizzare le problematiche legate ai cambiamenti lavorativi, di team, di spazi, ruoli, perdita di mansioni e talvolta posto di lavoro.
Purtroppo lo “spirito di squadra” richiede stabilità e viene indebolito o distrutto dalle riorganizzazioni, specie quando queste sono estremamente rapide e gestite male.

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In certi casi le scelte egoistiche di chi gestisce i cambiamenti, producono le situazioni negative descritte in precedenza, ma spesso, purtroppo, esse non sono conseguenti alle scelte dei manager , ma alla loro limitata capacità di progettazione e messa in atto delle modalità attuative di un cambiamento. Dando vita a situazioni di stallo, organizzazioni incomplete, perdita di risorse e competenze importanti per l’azienda.

E’ strategico, nei cambiamenti a tutti i livelli, saper gestire le ricadute sulle persone che lavorano in azienda, di tutti coloro che collaborano con essa, esterni ed interni, clienti fornitori, organizzazioni territoriali etc…anche di chi per motivazioni diverse, pur avendo dato anni di lavoro e passione all’azienda, subisce la perdita del lavoro, cercando per tempo le soluzioni migliori di uscita.
Stando anche attenti a non fare l’errore di pensare che in questo si esaurisca tutto il processo di accompagnamento e guida delle persone verso il cambiamento.

Change Management Strategy

Un atto gestionale di questa portata ed importanza non può essere improvvisato, occorre necessariamente avere competenza ed esperienza e se non si hanno, occorre affidarsi a tutti coloro che possono portare un contributo culturale e operativo alla gestione del cambiamento.

“Je pense que les entreprises qui réussiront demain sont celles qui sauront mettre en place une logique de prise en compte des aspirations individuelles pour prendre en compte les affinités, les modes de fonctionnement de chacun et adapter les modes de travail à chaque personnalité. (…) L’enjeu est de trouver le bon équilibre en créant les conditions pour un épanouissement professionnel plus important tout en servant les intérêts de l’entreprise. ” Emmanuel Copin, DRH de Malakoff Mederic, pour le Livre Blanc “Comment aider chaque collaborateur à prendre en main son épanouissement professionnel (grâce au numérique)” *

*traduzione:

“Penso che le aziende che avranno successo domani saranno quelle che metteranno in atto una logica che tenga conto delle aspirazioni individuali per tenere conto delle affinità, delle modalità di funzionamento di ciascuno e adattare le modalità di lavoro a ciascuna personalità. (…) La sfida è trovare il giusto equilibrio creando le condizioni per una maggiore soddisfazione professionale mentre serve gli interessi dell’azienda. “Emmanuel Copin, HRM Malakoff Mederic, per il Libro bianco” Come aiutare ogni dipendente a farsi carico del proprio sviluppo professionale (grazie al digitale) “

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Questi costi, si ripagano, grazie alla “fidelizzazione” dei collaboratori, capaci e competenti che sono l’anima dell’azienda, coloro che, avendo esperienza e competenza, proprio nei momenti di incertezza e di passaggio, vengono “tentati“ dai concorrenti. In special modo per le aziende di servizio e commerciali, la “fidelizzazione interna” corrisponde quasi sempre alla riduzione al minimo dei disservizi ai clienti, frutto dei cambi di personale, ruoli, mansioni, cambi di sistema gestionale, logistico, amministrativo etc…

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“La leadership è definita come un processo di influenza delle relazioni, con individui che condividono obiettivi comuni e si mobilitano per raggiungere i suddetti obiettivi o modifiche desiderate” (Yukl, 2006; Northouse, 2007.

“Essa nel passato era spesso associata alla “personalità” del leader, in particolare al cosiddetto “carisma”, che assumeva una connotazione “magica”, la teoria dei tratti di personalità, difendeva l’idea dell’esistenza di leader predisposti con tratti caratteriali e abilità innate, di intelligenza perspicacia, attenzione, responsabilità, intraprendenza, costanza, socievolezza” (Stogdill, 1948).

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In estrema sintesi possiamo affermare che un leader, è tale e riconosciuto dai propri pari se dispone di:

Capacità di comunicazione, conoscenza dei meccanismi di funzionamento delle relazioni interpersonali nella realtà in cui opera.

• Abilità specifiche: capacità ed esperienza specifica dell’attività che esercita e gestisce.

• Comportamento coerente ai principi che suggerisce.

“Il leader deve essere capace di trasformare coloro che guida, i suoi sostenitori, accompagnandoli nel superamento dei propri limiti. (Bass 1985)”.

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Questo richiede impegno nell’allenamento di capacità come:

  • estroversione
  • intelligenza emotiva
  • empatia
  • concentrazione
  • ascolto attivo
  • saper coinvolgere
  • motivare

Per esperienza personale, ho notato che quando un leader possiede l’abilità di stimolare ed accompagnare il miglioramento del team, favorisce nelle persone la crescita dell’autostima, mobilitando in loro risorse emotive, fisiche e mentali, fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi comuni.

Purtroppo sia in ambito aziendale che sportivo, ho trovato poca consapevolezza e reale conoscenza delle abilità necessarie ad un leader. Questo spesso è frutto di ritrosia, poca capacità di mettersi in discussione, in alcuni casi anche di presunzione.

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Leader non si nasce, si possono avere delle predisposizioni, ma lo si diventa. Occorre conoscere, comprendere, “allenarsi” ad esserlo, con impegno e coerenza, con cultura e studio.

Molte persone con ruoli di guida e di potere, sia in azienda che nello sport, parlano di leadership senza avere una profonda cultura specifica, rimanendo nel migliore dei casi,  ancorati a vecchi e frammentati concetti di leadership.

Chi ha il ruolo di scegliere eventuali team leader, project manager, leader aziendali, per i motivi suddetti, rischia di scegliere la persona inadatta al ruolo, e quando anche casualmente riesce, difficilmente poi progetta il percorso di crescita e formazione personalizzato e atto ad implementare le abilità necessarie al ruolo.

Nel lavorare con imprenditori e dirigenti, difatti spesso suggerisco atteggiamenti di apertura alla cultura ed alle conoscenze specifiche, cerco di stimolare la presa di coscienza che un imprenditore, un amministratore delegato, un direttore generale, etc… deve fare per riconoscere che non può essere esperto di tutto, ma ha invece il compito importantissimo di saper scegliere e sapersi affidare a collaboratori, interni ed esterni, utilizzando al meglio le loro competenze.

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Coloro con i quali ho collaborato, che si sono messi in discussione, hanno sempre trovano positivo, l’essere affiancati nella scelta delle persone con ruoli di leader. Verificando quanto siano importanti, formazione e implementazione continua di abilità e competenze, per chi “guida” team, gruppi, squadre, al raggiungimento degli obiettivi.

(altro…)
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É palese che qualsiasi organizzazione non é tale senza gli individui che la compongono. Questa frase apparentemente retorica, deve diventare invece il “mantra” per chi, a qualsiasi livello gerarchico, nelle organizzazioni più o meno complesse, perde di vista la centralità dell’uomo, delle sue infinite capacità di inventare, modellare, scegliere, costruire.

Diventare consapevolezza per coloro che con superficialità, dimenticano che l’uomo é il bene primo per l’impresa e per la costruzione e la crescita dello “strumento “ azienda.

Queste persone che stabiliscono i requisiti per scegliere  direttamente o indirettamente i collaboratori, rischiano di minare fin dall’inizio la creazione, l’organizzazione, la crescita, di una impresa, se mancando di  una solida conoscenza del comportamento umano, non hanno nemmeno la  consapevolezza della necessità di essere  affiancati sin dall’inizio da qualcuno che abbia questa conoscenza e sia in grado di  renderla facilmente disponibile all’imprenditore.

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Qualcuno che attraverso una azione reale di coaching, riesca a stabilire una sinergia costruttiva, nella scelta dei collaboratori direzionali, che a loro volta, seguendo un canovaccio, ed affiancati, possano scegliere, coerenti con la mission, i quadri dirigenti, e via via i funzionari, tecnici, impiegati, operai, magazzinieri, carrellisti, etc…
La scelta oltre alla costante della competenza specifica, non può prescindere dalla consapevolezza del valore strategico rappresentato dal mix: .
La non consapevolezza della necessità di questa strategia, produce nel migliore dei casi, dispersione di energie, con ricadute negative su performance individuali e di impresa.

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Chiaramente in grandi imprese nazionali è questo un problema non frequente, ma dalle mie personali esperienze in piccole medie imprese, anche con buoni fatturati, ho acquisito la convinzione che il potenziale di queste aziende sia più grande di ciò che in realtà riescono ad ottenere, anche nei casi di raggiungimento di buon fatturato, si intravedono spesso maggiori capacità e soprattutto, meno stress, conflittualità e dispersione di energie.
Spesso nelle piccole imprese ( qualche volta anche i medie…) si osserva che l’organizzazione viene creata in modo casuale, basandosi inizialmente solo sul proprio vissuto e sulle esigenze di mansione e ruoli.
Dalla mia esperienza ho notato,che a volte anche scelte importanti su figure di rilievo, taluni imprenditori, le fanno su “sensazioni personali” consigliandosi talvolta con dipendenti ritenuti ” di fiducia” a che non necessariamente ne hanno le competenze.
Questo non vuol dire che la prassi non funzioni, ma che spesso non permette di raggiungere i risultati potenziali, creando perdite di energie, rallentamenti, stress.
Questa impostazione che definirei “spontanea” funziona, a mio avviso, quando l’imprenditore ha delle capacità acquisite o naturali nella scelta dei collaboratori, quando gli “capita” di assumere inizialmente in ruoli dirigenziali, delle persone con buone competenze, serene e motivate.
Anche in questi casi considerati “di successo” a volte é possibile osservare un “gap” tra ciò che l’impresa ha ottenuto nel tempo ed il suo potenziale reale.
Per questo credo che nelle piccole imprese ci sia la necessità di crescita culturale, ci sia bisogno di azioni di coaching, di affiancamento, sin dall’inizio di una start up, nei momenti di cambiamento, di passaggio generazionale, di rinnovamento, di crisi del mercato. É ovvio che questa consapevolezza non è facile da raggiungere ma oggi più che mai, può essere necessaria e utile. Certamente uno dei fattori che frenano lo sviluppo di questa consapevolezza, é il problema dei costi, che, essendo “nuovi” non rientrano nella normale routine delle spese aziendali, e non sono misurabili in termini immediati. Questo determina nella mente soprattutto dei piccoli imprenditori, l’idea errata, che sia una spesa in più, che non porti “ritorno economico”. Mentre invece seppur non immediatamente verificabile ( in alcuni casi il ritorno in realtà è subito visibile in termini qualitativi, ma non approfondirò,questo aspetto adesso), il ” prodotto ” della collaborazione nella costruzione, rinnovamento, adeguamento, di una azienda; è misurabile in termini di ritorno economico e di qualità.

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L’imprenditore che inizialmente sceglie, anche un po’ scetticamente, di essere affiancato per un periodo da un coach, si rende conto che la “ricchezza” in una azienda , rappresentata da persone intelligenti, equilibrate, comunicative, motivate; che un abbassamento delle conflittualità, un giusto livello di stress, il miglioramento del clima aziendale, favoriscono il “benessere” suo e dei collaboratori, a tutto vantaggio della produttività e della qualità del servizio reso al cliente.
(Luigi D’Arienzo)