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In una azienda moderna sono importanti le tecnologie, le strutture e le competenze tecniche, ma la qualità aziendale oggi si valuta anche attraverso l’immagine che si riesce a costruire e rendere disponibile all’esterno in particolare ai clienti.

“Costruire l’immagine aziendale significa avere collaboratori efficienti e qualificati che possano offrire al cliente un servizio efficace. Il cliente sarà più soddisfatto per il servizio o prodotto ricevuto, se anche le strutture aziendali mostrano efficienza e soprattutto se le persone che lavorano in azienda, agiscono in modo professionale, disponibile e proattivo”. (L.D.)

Un personale che sa essere ambasciatore dell’azienda diventa un ulteriore e importante fattore di successo dell’azienda” (L.D.)

Apparentemente il front office, sembra essere naturalmente il settore aziendale interessato a questa affermazione, perché punto di contatto tra azienda e cliente. In realtà nelle aziende di piccole e medie dimensioni, un cliente valuta anche i modi e tempi in cui riceve attenzione e informazioni, tante volte, specie in realtà piccole e medie, l’impressione dell’azienda la danno i tecnici, in fase di dialogo col cliente, nelle fasi di individuazione delle specifiche di massima di un prodotto o servizio, di preventivazione o assistenza.

Tutti in azienda hanno momenti di front office e rappresentano dunque l’azienda, per cui tutti devono essere consapevoli di questo e tutti devono sforzarsi di migliorare le competenze relazionali e di comunicazione con l’esterno, senza dare per scontato che il proprio modo di esprimersi e agire sia quello più consono alla situazione, o peggio che il cliente si debba adeguare ad esso.

Dare una buona immagine in tutto ciò che si fa significa essere consapevoli che nel fare un preventivo, costruire una macchina o fornire un software o un disegno, fare un impianto, fornire documenti tecnici, amministrativi, di sicurezza, offrire un servizio B2B, B2C etc…occorre implementare le competenze comunicative e relazionali.

Fa parte del proprio lavoro fornire al cliente risposte operative che siano anche basate su una efficace comunicazione ”.

Avere consapevolezza della propria capacità di comunicazione contribuisce alla soddisfazione propria, del Cliente e dell’azienda, l’aspetto meno conosciuto dai più della comunicazione interpersonale è il “linguaggio non verbale”, che invece è molto importante ed interessante da apprendere e mettere in pratica.

Aspetti come gestualità, postura, portamento, espressioni facciali, finanche l’igiene e la prossemica (conoscere le distanze sociali, rispettandole e utilizzandole nel modo corretto), sono aspetti da scoprire e comprendere e sono utili in tutte le relazioni lavorative, di amicizia o semplicemente sociali.

Il linguaggio non verbale trasmette sensazioni che possono mostrare: scontrosità, riluttanza, compiacenza, disinteresse, oppure stimolare interesse, attenzione e accoglienza.

E’ indubbio che una persona sorridente, gentile nei modi, pieno di tatto è facilitato nel costruire un buon rapporto col cliente, comprendere le sue esigenze, presentargli un prodotto/servizio, fare buoni accordi con lui.

E’ palese quanto la comunicazione sia uno strumento indispensabile nel lavoro specialmente se si tiene conto di questi parametri nell’ordine preciso:

  • Chi comunica
  • Con chi comunica
  • Come comunica
  • Cosa comunica

Chi vuole e deve comunicare pensa al cosa comunicare poi elabora il messaggio, lo codifica, utilizza il linguaggio più appropriato in quella situazione, valuta il punto di vista di chi riceve il messaggio e poi lo invia attraverso il canale più appropriato, verbale, non verbale, scritto, telefonico… questo tenendo conto che chi riceve il messaggio, ascolta, legge, guarda e lo decodifica (lo interpreta), ragiona, poi a seconda del messaggio, risponde, esegue, archivia, smista etc…

Volendo semplificare mi permetto qualche consiglio per comunicare col cliente, (ovviamente sono idee utili anche con un collega, collaboratore, amico, compagno di squadra etc…):

  • Non avere fretta
  • Ascoltare l’interlocutore concentrandosi senza interrompere e osservare come si esprime
  • Non cercare di indovinare il contenuto del messaggio ragionando dentro di se
  • Non temporeggiare nella risposta
  • Se non si è in grado di risolvere il “problema” al meglio affidarsi a chi è più competente
  • Guardare la persona negli occhi ma senza insistenza
  • Non essere mai arrogante anche quando si è molto impegnati
  • Provare sempre con “giusta empatia” a mettersi nei panni dell’interlocutore
  • Non alzare mai la voce anche quando il cliente mostra tensione e nervosismo
  • Non fare commenti che potrebbero urtare la suscettibilità dell’altro

Occorre considerare la comunicazione come elemento fondamentale assieme al prodotto, per mantenere un rapporto proficuo con gli altri in generale e col cliente in particolare.

< comunicare è un “gioco” in cui si fondono capacità, intelligenza, fantasia, concretezza.

In uno scambio di informazioni costruttivo c’è sempre una crescita reciproca >. (L.D.)

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È riconosciuto da tutti che nei periodi di crescita economica, nel contesto di un mercato relativamente stabile, le problematiche legate alle difficoltà di comunicazione ed ai cali motivazionali, vengono apparentemente superate ma non risolte, sulla spinta della positività che i trend di crescita, trasmettono al management e di riflesso alle altre figure aziendali.

Oggi i mercati e l’economia sono completamente in cambiamento, pongono differenti valutazioni economiche, riconsiderazione dei metodi di lavoro; questo crea molte volte instabilità, senso di precarietà e dubbi sul futuro personale, del proprio lavoro e della azienda, con la quale sempre meno ci si identifica se chi la conduce non ha la capacità di guidare con convinzione e sicurezza, mantenendo coerenza e lungimiranza.

In un tale contesto diventa dunque ancora più importante la riconsiderazione del ruolo dell’uomo, dei valori etici, della buona comunicazione e delle buone relazioni interpersonali. Diventa strategica la ricerca di nuovi approcci nella gestione delle persone, al fine di intercettare il calo motivazionale, il conseguente decadimento del clima aziendale e della responsabilizzazione delle persone. Le imprese hanno bisogno di personale “fidelizzato”, che possa mettere in campo maggiori risorse mentali ed emozionali ed una maggiore responsabilizzazione rispetto al lavoro.

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In questo momento, a mio avviso, gli artefici maggiori dei cambiamenti anche per lo sviluppo di strategie di comunicazione e motivazione, dovrebbero essere tutti coloro che hanno responsabilità di gestione di “altri” in senso lato, dall’imprenditore al manager, dal responsabile di reparto al responsabile di ufficio. Artefici del cambiamento dopo aver coinvolto, condiviso, ascoltato, riconosciuto i collaboratori. Penso sia necessario che chi gestisce altre persone, implementi la propria capacità di comunicazione per porsi come leader in grado poi di trasmettere a sua volta la cultura della comunicazione equilibrata e proficua, incidendo sulla motivazione e dunque sulla responsabilizzazione.

Questa che sembra essere una visione condivisa talvolta non lo è affatto perché gli imprenditori valutano spesso in modo riduttivo il lavoro e la conseguente remunerazione, come “ciclo finito”, entro il quale la persona dovrebbe giocoforza stare bene, essere soddisfatta e in modo automatico motivata e partecipe.

Purtroppo questa visione, rischia spesso di portare a problematiche relazionali difficili da gestire ad un peggioramento della comunicazione ed immancabilmente all’aumento delle conflittualità interne, al calo della motivazione delle persone con conseguente peggioramento della qualità dell’offerta di prodotti e servizi al cliente.

Stimolare la motivazione dei dipendenti, sostiene il benessere e migliora il clima aziendale, variabili importanti per mantenere in azienda risorse utili e competenze.

La motivazione è fortemente influenzata dalla buona comunicazione e dal riconoscimento, chi non interviene per implementare quest’ultima, o lo fa in maniera errata, rischia di sprecare risorse e opportunità. Fare leva semplicisticamente, solo su fattori come la retribuzione o i premi, comunicando e relazionandosi poco, rischia seriamente di sprecare risorse e opportunità.

Imprenditori e manager dunque devono comprendere appieno il ruolo importante di una comunicazione efficace nello sviluppo e mantenimento della motivazione al lavoro. Devono comprendere che attraverso lo scambio di informazioni, i colloqui individuali e di gruppo, gli incontri formali ed informali, la diffusione e condivisione dei processi decisionali, si incide sugli aspetti di relazione, si rafforza la motivazione delle persone, creando la base per superare i momenti più complessi e i cambiamenti che rompono schemi e routine.

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Lavorando su questi elementi, si crea non solo il clima giusto ma si alimentano quei serbatoi di energia che permettono alle persone di realizzarsi, alle imprese di crescere culturalmente ed economicamente.

Una organizzazione che riesce ad avere un buon clima interno, può offrire certamente prodotti e servizi sempre più qualificati e soddisfacenti, il linea con le aspettative dei clienti, anzi in tanti casi può proporre idee e soluzioni anticipando le loro esigenze, innescando un ciclo virtuoso, a tutto vantaggio della programmazione e della stabilità della propria immagine. (Luigi D’Arienzo)

*Nel rispetto della “libera circolazione delle idee”, chiedo a chi volesse utilizzare questo articolo o parti di esso di citarne la fonte.

Siamo perchè ci relazioniamo

“Siamo perché ci relazioniamo”, difatti un tessuto denso di relazioni umane contribuisce allo sviluppo della persona in tutti gli ambiti.

In azienda, come in qualsiasi organizzazione anche sportiva, società di servizi etc…, l’ottimizzazione delle relazioni umane favorisce l’interdipendenza di tutte le funzioni svolte permettendo di raggiungere gli obiettivi previsti nelle migliori condizioni possibili.
Dunque la sintonia tra relazioni umane e interdipendenza, è uno degli elementi essenziali allo sviluppo delle organizzazioni, ne garantiscono il successo e la durata nel tempo, indipendentemente dalle sue dimensioni e dalla natura della sua attività.

Il dipendente, il collaboratore, il manager, il dirigente, lo stesso imprenditore quando è operativo, hanno bisogno di sentirsi parte di un gruppo. Di conseguenza, ciascuno col proprio bagaglio culturale (valori, regole, credenze, atteggiamenti etc…) si pone l’intento di avere con gli altri “buoni rapporti” sviluppando spesso anche un attaccamento emotivo.

I rapporti umani in azienda sono funzionali e strategici, servono sia all’azienda che a coloro che vi lavorano. In questa ottica, le aspettative di chi opera e dell’azienda, possono essere soddisfatte se “in sintonia”, se gli obiettivi ed i risultati concreti che reciprocamente ci si aspetta risultano efficaci .

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Osservo continuamente, lavorando nelle piccole e medie imprese, che le competenze tecniche, scientifiche o amministrative, seppur importanti, non bastano, per trovare un posto all’interno dell’azienda. Si comprende bene che oltre alla dimensione professionale, le persone cercano la dimensione personale, per cui diventa necessario che imprenditori e manager, si impegnino in modo costante e continuativo, non episodico, ad accrescere il “funzionamento culturale” dell’azienda.
E’ palese che la globalizzazione e l’espansione della migrazione in tutto il mondo, stimoli approcci estesi alle diverse culture di dipendenti. Questo cambiamento epocale, diventa gestibile e possibile, nelle aziende che abbiano già acquisito e sviluppato precedentemente la “cultura delle relazioni”, favorendo la comunicazione, l’appartenenza e la soddisfazione, in chi lavora e trae da questo motivo per accrescere la propria motivazione.

Le relazioni contribuiscono fortemente all’ interfacciamento delle funzioni ed alla fluidità dei processi, anche garantendo solidarietà, assistenza reciproca e di conseguenza lo sviluppo di cultura del problem solving e minore necessità di interventi correttivi da parte di chi gestisce processi e persone.

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La cura e lo sviluppo delle relazioni umane in azienda, permette di poterla definire anche una “ricchezza culturale”, per la società in generale, perché favorisce la possibilità di espressione di identità e culture, degli “attori sociali”, delle persone che vi lavorano.

Questi desiderando collaborare e migliorare, si emancipano, sentendosi sicuri e riconosciuti, contribuendo così al miglioramento di tutto il tessuto sociale nel quale vivono.
“Riconoscere l’altro” la parola d’ordine necessaria in qualsiasi organizzazione intesa come strumento per raggiungere obiettivi. Nelle aziende, società di servizi, sportive, il riconoscimento dell’altro è un volano di cooperazione, di sviluppo effettivo contribuendo al rafforzamento delle relazioni umane, al consolidamento dell’interdipendenza delle funzioni, garantisce sostenibilità e prontezza nelle risposte ai cambiamenti tecnologici, alle esigenze dei mercati, culturali e sociali.

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Il mio punto di vista nasce da esperienze dirette di lavoro che mi hanno permesso di osservare nelle organizzazioni la carenza di persone che abbiano “fiducia in se stessi”, nei loro colleghi, nella stessa organizzazione di cui fanno parte. Persone in grado di organizzare il lavoro “insieme”, comunicare meglio, supervisionare i propri collaboratori al fine di creare un vero rapporto di fiducia e prendere decisioni responsabili.

Per questo penso che bisogna in modo professionale e concreto, operare al fine di valorizzare, diffondere, implementare, le capacità di comunicazione, di cooperazione, le interrelazioni funzionali, per determinare nelle organizzazioni, un equilibrio, il più possibile armonico.

Necessita un “equilibrio armonico” tra l’azienda e il suo ambiente interno ed esterno

Questo equilibrio favorisce ampiamente le buone prestazioni di tutti i servizi e le unità di produzione, contribuisce alla crescita e alla prosperità dell’organizzazione, promuove una atmosfera anche “attraente” per le risorse e la comunità e può essere un terreno fertile per permettere la crescita dei giovani, immergendoli nella cultura del “bene comune”, di relazioni positive tra le risorse umane, interrelazione costruttive tra, gruppi, team e funzioni.

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Ottenere questo risultato, richiede impegno e dedizione, un lavoro continuo di miglioramento, un approccio “Kaizen” alle risorse umane, in cui il ruolo della leadership, assume fondamentale importanza, specie se l’essere leader diventa una cultura diffusa nella organizzazione, non centrata su una o poche figure, ma condivisa da chiunque abbia responsabilità di guida e gestione di altre persone.
In questo modo la presenza, l’ascolto, l’esempio, diventano capillari, concorrendo a mantenere le relazioni amichevoli e costruttive, prevenire e gestire le situazioni di conflitto che spesso determinano, cattivo funzionamento, squilibri e diseconomie.

Innegabilmente gli uomini, ancor prima che il capitale o le materie prime, alimentano la crescita dell’azienda.

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Si sente spesso dire che il successo di ogni organizzazione, sia legato alla qualità delle risorse umane che la compongono, ma l’esperienza nelle piccole e medie imprese, mi ha convinto che al di là delle parole c’è poco di “sostanza” in questo e credo ci sia bisogno di un “cambio culturale vero”.
Occorre rendersi conto che mantenere in “equilibrio” una macchina, richiede meno impegno che mantenere in equilibrio le relazioni umane. La macchina si ripara e non ha memoria del suo guasto, un maltrattamento, la disattenzione, il non ascolto, un conflitto, lasciano comunque traccia, hanno costi importanti e talvolta non sono facilmente recuperabili.

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Le organizzazioni che si illudono, senza mettersi in discussione, di risolvere la carenza di relazioni efficaci, semplicemente attraverso momenti di team building, corsi, seminari , incontri con specialisti, commettono a mio avviso un errore grande, disperdendo energie e contribuendo al mantenimento di uno status quo, inefficiente.

Perseguire costantemente l’efficienza delle risorse umane in una organizzazione, significa applicare i principi kaizen dei piccoli e quotidiani “miglioramenti”, anche con le persone, dal direttore generale o amministratore delegato al piccolo imprenditore, dal capocantiere al manager, dall’operaio al caporeparto, dall’allenatore all’atleta.

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“La leadership è definita come un processo di influenza delle relazioni, con individui che condividono obiettivi comuni e si mobilitano per raggiungere i suddetti obiettivi o modifiche desiderate” (Yukl, 2006; Northouse, 2007.

“Essa nel passato era spesso associata alla “personalità” del leader, in particolare al cosiddetto “carisma”, che assumeva una connotazione “magica”, la teoria dei tratti di personalità, difendeva l’idea dell’esistenza di leader predisposti con tratti caratteriali e abilità innate, di intelligenza perspicacia, attenzione, responsabilità, intraprendenza, costanza, socievolezza” (Stogdill, 1948).

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In estrema sintesi possiamo affermare che un leader, è tale e riconosciuto dai propri pari se dispone di:

Capacità di comunicazione, conoscenza dei meccanismi di funzionamento delle relazioni interpersonali nella realtà in cui opera.

• Abilità specifiche: capacità ed esperienza specifica dell’attività che esercita e gestisce.

• Comportamento coerente ai principi che suggerisce.

“Il leader deve essere capace di trasformare coloro che guida, i suoi sostenitori, accompagnandoli nel superamento dei propri limiti. (Bass 1985)”.

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Questo richiede impegno nell’allenamento di capacità come:

  • estroversione
  • intelligenza emotiva
  • empatia
  • concentrazione
  • ascolto attivo
  • saper coinvolgere
  • motivare

Per esperienza personale, ho notato che quando un leader possiede l’abilità di stimolare ed accompagnare il miglioramento del team, favorisce nelle persone la crescita dell’autostima, mobilitando in loro risorse emotive, fisiche e mentali, fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi comuni.

Purtroppo sia in ambito aziendale che sportivo, ho trovato poca consapevolezza e reale conoscenza delle abilità necessarie ad un leader. Questo spesso è frutto di ritrosia, poca capacità di mettersi in discussione, in alcuni casi anche di presunzione.

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Leader non si nasce, si possono avere delle predisposizioni, ma lo si diventa. Occorre conoscere, comprendere, “allenarsi” ad esserlo, con impegno e coerenza, con cultura e studio.

Molte persone con ruoli di guida e di potere, sia in azienda che nello sport, parlano di leadership senza avere una profonda cultura specifica, rimanendo nel migliore dei casi,  ancorati a vecchi e frammentati concetti di leadership.

Chi ha il ruolo di scegliere eventuali team leader, project manager, leader aziendali, per i motivi suddetti, rischia di scegliere la persona inadatta al ruolo, e quando anche casualmente riesce, difficilmente poi progetta il percorso di crescita e formazione personalizzato e atto ad implementare le abilità necessarie al ruolo.

Nel lavorare con imprenditori e dirigenti, difatti spesso suggerisco atteggiamenti di apertura alla cultura ed alle conoscenze specifiche, cerco di stimolare la presa di coscienza che un imprenditore, un amministratore delegato, un direttore generale, etc… deve fare per riconoscere che non può essere esperto di tutto, ma ha invece il compito importantissimo di saper scegliere e sapersi affidare a collaboratori, interni ed esterni, utilizzando al meglio le loro competenze.

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Coloro con i quali ho collaborato, che si sono messi in discussione, hanno sempre trovano positivo, l’essere affiancati nella scelta delle persone con ruoli di leader. Verificando quanto siano importanti, formazione e implementazione continua di abilità e competenze, per chi “guida” team, gruppi, squadre, al raggiungimento degli obiettivi.

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L’assertività è confusa da molti come la capacità di realizzare le esigenze che si hanno. In realtà l’essere assertivi significa ” far conoscere alle altre persone, in modo diretto e chiaro, cosa effettivamente noi vogliamo e di contro cosa invece non vogliamo.

“L’assertività è la capacità del soggetto di utilizzare in ogni contesto relazionale, modalità di comunicazione che rendano altamente probabili reazioni positive dell’ambiente e annullino o riducano la possibilità di reazioni negative”(Libet e Lewinsohn).

Generalmente si definiscono quattro atteggiamenti possibili per porsi in relazione e si comprende facilmente che il comportamento assertivo risulta equilibrato e proficuo nelle relazioni in generale, ed in particolare in quelle di lavoro.

Stile passivo

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Quando fondamentalmente non si esprimono le proprie necessità, i propri pensieri e ancor meno i propri sentimenti (emozioni).
Si ha una visione inadeguata di se stessi, e dei rapporti, utilizzando anche strategie colpevolizzanti con perdita della fiducia e della propria autostima.
Non si riesce a far valere i propri diritti, non si esprimono le proprie opinioni lasciandosi ” trascinare” dagli altri.

Dunque ci si pone in modo non assertivo, lasciandosi “dominare” dagli altri, lasciando decidere gli altri per noi, per evitare situazioni di conflitto, di attrito; evitando di reagire non si provocano reazioni ma si lascia comprendere agli altri che possono facilmente strumentalizzarci.

Molte volte questo comportamento di ansia sociale elevata, determina mancanza di controllo sulla vita, invita gli altri al disinteresse che diventa spesso “non rispetto” e questo porta poi le persone ad approfittare di chi mostra passività, indecisione, inadeguatezza.
La corrispondenza chiara con la persona che in analisi transazionale si definisce io non OK – tu OK.

Stile aggressivo

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Capacità di esprimere i propri pensieri, le proprie necessità e sentimenti, pensando di dover utilizzare la forza nel loro modo di comunicare, per imporre la propria posizione.

L’ostilità e la rabbia prendono il sopravvento in modo particolare quando la persona aggressiva ritiene di essere stata trattata male.
Talvolta questo tipo di comunicazione non rispetta gli spazi personali degli altri, prevaricando e per certi aspetti controllando gli altri.
L’aggressivo, fondamentalmente utilizza il tono accusatorio, il sarcasmo, la volgarità, soprattutto senza considerare il pensiero, le esigenze e le emozioni degli altri.
La persona “aggressiva” si arrabbia, perché un evento, una situazione, non vanno per come si auspicava, cercando non un vero rimedio ma una colpa in qualcuno sul quale addossare le responsabilità utilizzando il criterio: < io ho ragione tu hai torto, quello che in analisi transazionale corrisponde a: io sono OK tu non sei OK.

Stile passivo/aggressivo

Le persone che si comportano e comunicano in questo modo sono davvero difficili da approcciare, generalmente risultano deleteri per se stessi gli altri e le organizzazioni.
Fondamentalmente queste persone fanno della “manipolazione” degli altri, la strategia per ottenere ciò che vogliono, a scapito di chiunque evitando scontri frontali.
Chi adotta comportamenti passivi/ aggressivi, facilmente trova il modo di accusare gli altri per non assumersi le responsabilità, fa di tutto per non mostrare la rabbia e le frustrazioni in modo aperto, gestendo bene le cose da dire o non dire, nel senso di non chiedere chiaramente cosa vogliono o non vogliono, a scapito di colleghi o dell’azienda.
In pratica vivono in un mondo ingiusto dove evitare possibilmente qualsiasi responsabilità, e pensano che sia giusto che se lui “perde” tutti devono “perdere” e soffrire come lui.
In analisi transazionale, si sintetizza nel comportamento: io non sono OK – tu non sei OK.

Stile Assertivo

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Porsi in modo tranquillo e deciso, adeguato alla situazione. La persona che comunica in modo assertivo sceglie se e quando esprimere i propri bisogni, ciò che pensa, e le emozioni che prova.
La persona assertiva ha stima di se, si conosce, conosce le modalità di comunicazione ed i contesti, riuscendo ad esprimere emozioni, idee, necessita, in maniera “efficace”.
Ascolta le critiche e le gestisce senza avere il bisogno di reagire in modo aggressivo. Non subisce dunque passivamente, non ha paura di andare in conflitto, ma rispetta le esigenze degli altri, il loro pensiero, pur asserendo il proprio.
Fondamentalmente la persona assertiva ha la sicurezza necessaria a prendere le decisioni del caso, perchè si assume la responsabilità di quello che comunica senza condannare l’altro se non riesce ad ottenere ciò che desiderava.
Indubbiamente la persona assertiva ha una stabilità emotiva che lo porta a controllare le proprie emozioni, non nel senso di reprimerle ma di utilizzarle come energie per comprendere la situazione, servirsi della giusta empatia, avendo come obiettivo il risultato possibile.
In analisi transazionale si definisce questo: comportamento da adulto (non freddo automa, ma capace di utilizzare la parte emozionale, il bambino, per comprendere e portare la discussione a risultato. Nell’analisi delle posizioni esistenziali si definisce sinteticamente con: io sono OK – tu sei Ok.

La perfezione non esiste

Si comprende che una relazione basata sostanzialmente sulla aggressività o sulla passività tende nel tempo a deteriorarsi, perché chi è aggressivo, comunica in modo aggressivo, subendo la sensazione che il mondo sia fondamentalmente un luogo ostile dove per avanzare occorre utilizzare la forza; chi è passivo, non comunica, vede il mondo intorno a se come complicato, ingiusto, che fa paura, che spaventa e per certi versi lo rifiuta.

Al contrario le relazioni tra persone assertive facilmente durano e molto spesso sono produttive, perché queste persone considerano il loro ruolo e quello degli altri, importante nella società, percepita come un buon posto nel quale vivere.

Ma la perfezione non esiste… certamente i comportamenti delle persone non sono per tutti standardizzati, non sempre i comportamenti aggressivi o passivi sono sbagliati, difatti certamente l’assertività è il modo più “efficace” per comportarsi e comunicare, ma è plausibile che ciascuno di noi, in situazioni relativamente diverse, ha dei comportamenti diversi da quelli assertivi, talvolta negativi e che procurano instabilità e abbassano l’autostima.

Le modalità comportamentali non sono conformate su un modello particolare, devono essere basate fondamentalmente sul comportamento assertivo, ma lasciare uno spazio per determinate situazioni di aggressività controllata, ed una remissività che possiamo definire “ben gestita”.
In effetti la persona generalmente assertiva non deve essere lo stereotipo della diplomazia, ma deve padroneggiando le situazioni, saper dosare aggressività e passività, per ottenere il risultato o il miglior risultato possibile.

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Aumentare il costo di prodotto o servizio per le piccole medie imprese artigiane, spesso è una azione che termina stress e pone molti dubbi anche sul metodo per comunicarlo ai clienti.
Quando sorge la necessità di aumentare il costo dei prodotti/servizi aziendali, ci si pone anche domande sulla utilità di fare aumenti generalizzati per tutti i clienti o personalizzati per cliente, sulla necessità di spiegare o no le motivazioni degli aumenti, e non ultimo con quale modalità comunicare col cliente.
Un suggerimento potrebbe essere quello di parlare con i clienti da vicino e/o chiamarli telefonicamente.

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Parlare con i clienti è un buon modo il modo per annunciare un aumento di prezzo. A differenza della mail, (che può eventualmente essere fatta comunque in seguito ), che risulta impersonale quando si devono condividere importanti cambiamenti con i clienti.

Certo se i clienti sono numericamente rilevanti la cosa può creare disagio ma rimane conveniente parlare vis a vis o telefonicamente, con il maggior numero di clienti possibile, oltre che ovviamente con i clienti principali.

< La prima cosa più facile è reagire.
La seconda è rispondere.
Ma quella più difficile è prendere l’iniziativa >.(Seth Godin)

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La condivisione delle ragioni principali per cui si aumentano i prezzi, senza scendere in tutti i dettagli delle problematiche aziendali finanziarie e non, è utile ai clienti a comprendere i cambiamenti.
In una conversazione eventuale potrebbe essere utile iniziare dagli aumenti dei costi dovuti a cause generalmente condivisi dalla maggioranza delle imprese.
La conversazione permette anche una possibile negoziazione, che evidentemente va preparata prima, attraverso scelte ponderate caso per caso, basate ovviamente sulla forza contrattuale del cliente, la sua fedeltà, sulla forma di contratto di acquisto in essere ( assistenze, acquisto,ore lavoro, tipo di pagamento

Certamente perdere clienti a causa dell’aumento dei prezzi è una preoccupazione reale per molte aziende, è per questo oggi si assiste in molti casi al congelamento forzato de prezzi anche oltre il limite di guardia,il cui superamento porta seri problemi alle imprese.

Anche per questo prima di giungere agli aumenti occorre aver migliorato l’efficienza di uomini e mezzi, dimostrando ai clienti come questo abbia permesso di contenere gli aumenti. Potrebbe essere utile valutare l’offerta di servizi o prodotti gratuiti, forme di assistenza maggiore ed altri benefit che senza appesantire l’azienda alleggeriscano l’aumento dei costi. ( Luigi D’Arienzo )

 

 

 

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