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Dall’inizio dei tempi l’uomo tende a trovare spiegazioni semplici a fenomeni complessi, in tutte le attività umane, specie in quelle che richiedono la partecipazione di più persone ad un obiettivo comune.

Gli sport ad esempio, soprattutto di squadra come Basket, Calcio etc… possono essere un esempio della persistenza di questa necessità.

Avendo esperienza sia di team aziendali che sportivi, ho osservato che si tende spesso ad essere riduttivi nell’individuare le cause di cattive prestazioni e del non raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Si tende ad trovare e riportare spesso cause convenzionali, a volte di comodo, a causa della necessità di darsi spiegazioni “facili” per situazioni non gestite.

Negli sport di squadra come nelle realtà aziendali si spende molto in ambiti specifici come la formazione tecnica e la strategia, mirando più all’efficienza, questo non porta automaticamente all’efficacia.

Non lavorando sugli aspetti di efficacia legati a mio parere anche ad aspetti mentali di relazione e comunicazione entro e fuori dal team, non si creano le condizioni ottimali per raggiungere gli obiettivi.

Questo porta tante volte alle conflittualità e riduce l’espressione della persona, della persona (atleta) nel team/squadra e spesso anche del “team allargato” (dirigenti etc…).

Se si vogliono evitare semplificazioni occorre ripensare alle dinamiche che si sviluppano in questi “mondi” e tra essi.

Ho notato che quando un allenatore o un dirigente, hanno naturali competenze relazionali e di analisi delle difficoltà, riescono a portare una visione più globale dei fenomeni e degli accadimenti, questo riduce gli errori di valutazione e soprattutto  evitano un fenomeno molto negativo: ” la creazione di capri espiatori “, che diventano alibi spesso di altre carenze.

L’essere dirigente/manager/quadro  aziendale o dirigente/allenatore di una società sportiva, troppo spesso significa fidarsi solo della personale esperienza, spesso di ex atleta, o dirigente di società.

Naturale quindi che immaginando di fare bene in base al proprio sentire, non curando competenza e consapevolezza delle variabili che limitano l’efficacia, ( comportamenti, relazioni umane, comunicazione interna ed esterna) si tenda a svalorizzare, semplificare o esagerare, ciò che accade in caso di vittoria ma soprattutto di sconfitta.

Da qui la ricerca di volta in volta, di capri espiatori interni o esterni al team o alla società.

Specie in ambito sportivo, anche i mass media talvolta, concorrono a creare o favorire il persistere di questi comportamenti deleteri, attraverso le semplificazioni e la ricerca del colpevole, in molti casi semplicemente per attrarre l’attenzione e fare notizia.

Come nelle società sportive, nelle aziende si osservano approcci basati maggiormente su sensazioni ed emozioni, che danno vita a valutazioni errate che scadono nel pettegolezzo, con tutte le conseguenze di dispersione di energie, stress, mancato raggiungimento degli obiettivi etc… 

In una certa misura ciò che ho rilevato e rilevo nello sport, lo osservo anche nelle aziende con le quali ho collaborato e collaboro.

Ho constatato che le conseguenze di un  approccio ai problemi di questo tipo, non permette di superare facilmente e talvolta non superare proprio, difficoltà organizzative, errori e  conflittualità.

Tra le cause di questo le competenze troppo specifiche, la mancanza di visione ampia, che vada oltre la mera tecnica o la sola economia.

Questo porta talvolta nelle aziende e nelle società sportive, a dare poca importanza alla mancanza di comunicazione efficace, alle conflittualità latenti, alla formazione, in sintesi allo sviluppo di una cultura professionale, che si nutre e implementa grazie ad un buon substrato relazionale fatto di stima reciproca, rispetto e correttezza.

Questo anche nel caso delle società sportive non professionistiche, perché al contrario dei luoghi comuni hanno un serio bisogno di professionalità.

Provare a superare queste disfunzioni, significa mettersi in discussione e determinare una seria crescita culturale, personale e aziendale, richiede impegno e tempo. E’ questo il limite che indebolisce  la possibilità di reagire alle situazioni di crisi. Una persona  team di lavoro, una squadra sportiva, non sono macchine in cui si cambia un pezzo usurato e si continua a produrre. Le persone

L’ approccio meccanicistico di chi pensa che le persone , i team e le squadre, si “aggiustino” al pari di una macchina, la ricerca spesso semplicistica di una variabile o peggio del “capro espiatorio del momento”, fanno si che apparentemente si sia trovata una soluzione, ma in realtà a mio avviso, si creano solo disagi, malesseri, confusione e soprattutto diseconomie.

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Pongo a tutti una riflessione che in questi giorni di mondiale di calcio.

Nei titoli dei giornali, nelle trasmissioni televisive o radiofoniche, a volte anche noiosamente ripetitive, ma questo è la prassi, tralasciando le argomentazioni di gossip e giornalistiche in senso generale, si possono estrapolare le osservazioni “tecniche” più discusse, sospese tra la tattica individuale, tattica di squadra, preparazione fisica, medicina, alimentazione…questo nel prima, durante ed in parte alla fine della avventura della squadra Italiana.

Nel <prima> si parla di preparazione specifica, moduli di gioco, copertura ruoli, alimentazione, preparazione fisica studiata ad hoc.

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Questi gli argomenti che suscitano interesse in chi si occupa di sport, ma anche nei tanti che seguono questo sport in generale che vede gli atleti nazionali come dei “superman”, che giustamente devono essere salvaguardati, gli allenatori come manager con conoscenze eccellenti di conduzione e tattiche, di moduli, di avversari…

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Nel <durante>, la vittoria aumenta le percezioni del prima, si inneggia al lavoro, alle qualità fisiche, tecniche etc…affiorano osservazioni che parlano di “spirito di sacrificio”, altruismo, ma passano velocemente dalla mente, ciò, che conta rimane ancora la tecnica individuale, la tattica, nel caso dei Mondiali in Brasile, la preparazione fisica ottimale.

Se nel <durante> si perde le certezze cominciano a vacillare, i dubbi ovviamente si insinuano, ed allora forse quel giocatore non è adatto, l’allenatore non ha “interpretato bene la partita”, la preparazione forse non riesce a sopperire alle necessità ambientali…affiora qualche commento sull’arbitraggio, o qualche osservazione sul gioco non fluido, sull’impegno non proprio ottimale dei giocatori.

Quando si esce dal mondiale, palesemente tutto è in discussione, la scarsa preparazione, l’incapacità di mettere in pratica il gioco, in limiti tecnici di singoli e di squadra.

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Nel <dopo>, all’uscita dalla competizione, come nel caso dell’Italia, allora ovviamente la preparazione non era centrata, i giocatori non quelli giusti, il gioco impreciso, la conduzione della partita e le scelte poco chiare.

Però se dagli spogliatoi viene riportato ai giornalisti e televisioni, qualche episodio di disaccordo, se qualche atleta scoppia ed esprime dei pensieri, dei giudizi velati o meno, dal suo punto di vista, allora si comincia a parlare di problematiche di gruppo, che pur sembrando ottimale al momento della vittoria in realtà, nascondeva difficoltà di relazione, tra atleti, tra questi ed allenatore. Allora si comincia a discutere di difficoltà caratteriali, di inesperienza in alcuni, di protagonismo in altri…fino al caso particolare che tutti hanno avuto il modo di ascoltare o leggere, di chi porta in evidenza problematiche che comunque si porta dietro come persona.

Mi domando e domando a tutti, chi parla di “costruzione del team” prima della tattica? chi si occupa di “preparazione mentale”, assieme alla preparazione fisica, chi accenna a strumenti di analisi e gestione dell’ansia prima delle gare, oppure post gara. Chi parla di gestione della vittoria e rafforzamento delle motivazioni, capacità di comunicazione tra atleti? Di Flou, di gestione della leadership? Di rilassamento?

Dalle mie esperienze ho constatato che queste cose proprio non fanno parte della cultura del calcio, di molto altri sport e in generale c’è una cultura su questi aspetti stereotipata e di moda.  Certamente le mie osservazioni hanno un punto di vista specifico perché figlio del tipo di attività che ho svolto e che svolgo, ma è indubbio che la cultura della preparazione mentale non è ancora considerata al pari di quella tecnica, tattica e fisica negli sport di squadra.

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La nazionale è vista come punto di arrivo e partenza di tecniche di allenamento, di miglioramento delle metodologie, un esempio ed un input per il movimento sportivo, come la formula 1 per le automobili, dunque finché la preparazione mentale, non entrerà a pieno titolo nelle valutazioni e nelle analisi degli addetti ai lavori ai grandi livelli, difficilmente potrà poi essere considerata per il suo valore agli altri livelli, difficilmente potrà dare il contributo che invece può dare alle persone ed ai team.

Tuttavia se si chiede ad atleti, dirigenti, allenatori, sportivi dilettanti, in generale a chi si interessa di sport anche come spettatore, di esprimere un parere su quanto conta in percentuale la “testa” per un atleta, un allenatore o un team, tutti sembrano d’accordo sulla sua grande importanza ai fini delle buone prestazioni. Tutti d’accordo ma...(Luigi D’Arienzo)